John Lennon è un autore sempre attuale. Considerato tra i rivoluzionari della musica popolare, il cantante e compositore dei Beatles, assassinato a New York nel 1980, ha una produzione solista di alto livello, dove non mancano le autentiche gemme come Imagine, considerata la canzone archetipo del suo messaggio politico, soprattutto alla fine dell’epoca della contestazione.
Lennon aveva vissuto l’addio ai Beatles come una liberazione, nonostante il forte rapporto personale con gli altri tre, e si imbarcò immediatamente in un tour pacifista suggellato da veri e propri inni alla pace (Give Peace a Chance è tra questi) insieme alla moglie Yoko Ono.
Fu in questo contesto che nasce Imagine, il suo brano solista più famoso. Un pezzo composto sul famoso pianoforte Steinway, che ruba un po’ l’introduzione a due singoli in voga in quel momento: Let it Be scritta per i Beatles da Paul McCartney e Bridge Over Troubled Water di Simon & Garfunkel. Rispetto alla prima canzone Imagine è molto meno introspettiva e nonostante contenga degli accenti spirituali abbastanza simili, sembra rivolgersi a un uditorio molto più ampio, diventando una sorta di corale appello al mondo affinché deponga le armi.
Il contesto storico in cui nasce Imagine è quello dell’aspra guerra del Vietnam, delle proteste e della contestazione giovanile del biennio 1968-1969 in tutta Europa, ma in particolare nei campus californiani, contrari alla guerra e aperti alla controcultura. È l’America di Nixon conservatrice e reazionaria che cerca di controllare personaggi come Lennon, che grazie alla loro immensa popolarità possono avere un’influenza negativa sui giovani, chiamati a combattere lontano da casa.
Lennon in Imagine, come suggerisce il titolo, ci chiede di immaginare un mondo alternativo dove non ci siano divisioni, dove le persone non si facciano la guerra per motivi stupidi e apparentemente incomprensibili.
La canzone col suo messaggio universale è diventata l’inno non ufficiale della pace, spesso usata in risposta a fatti efferati. Neil Young la eseguì in ricordo delle vittime dell’Undici Settembre, ed è stata suonata a Parigi per ricordare le vittime dell’attacco terroristico del Bataclan. I diritti della canzone appartengono a Yoko Ono, in quanto erede diretta del marito.
La canzone si presenta come un’aspirazione laica, una volontà di immaginare un mondo senza fratture, dove ciascuno rinuncia alle proprie credenze più fanatiche, per appianare le differenze e scoprirsi uguali.
Nella prima strofa Lennon chiede di immaginare un mondo “senza paradiso” perché questo può essere riscoperto sulla terra. Un mondo dove non ci sia nemmeno “inferno”, ma solo il cielo sopra di noi. Un ritorno all’essenziale dunque.
Nella seconda strofa punta alla politica: immaginiamo un mondo dove non ci siano stati, dove nessuno ammazza o muore e non ci siano religioni, immaginiamo un mondo dove si vive in pace.
In questo caso Lennon implicitamente ammette che tante guerre dipendono da divisioni geografiche e religiose che si potrebbero evitare.
Nella terza strofa, quella del ritornello, Lennon risponde in modo esplicito a quanti potrebbero accusarlo di ingenuità e si schermisce: potrete dire che sono un sognatore, ma non sono l’unico. Spero che anche tu ti unirai a noi così che il mondo diventi unico, cioè un unico mondo di sognatori utopisti che hanno concretizzato questa speranza.
Nelle strofe finali rafforza il concetto politico: immagina un mondo senza proprietà, dove non ci siano fame o avidità, una fratellanza di uomini che condividono il mondo. È un messaggio evangelico, ma anche socialista. Al tempo Lennon era molto interessato alla controcultura e alla contestazione.
La canzone si chiude con il ritornello nel quale deve ancora ribadire che il suo essere sognatore non lo fa un ingenuo, ma un pioniere, uno dei tanti sognatori che insieme possono cambiare il mondo.